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Dopo avere fatto alcune riflessioni su come funziona la nostra mente durante l’emergenza, Diego Manduri procede esplorando i pensieri a riguardo di un grandissimo autore, Daniel Siegel (psichiatra statunitense e fondatore della neurobiologia interpersonale), che ha ideato, disegnato e utilizzato uno strumento molto semplice chiamato “la finestra di tolleranza”.
Come vediamo dal disegno, si tratta di uno schema molto semplice attraverso cui Siegel ci dice come si possa misurare l’arousal, cioè il livello di attivazione psico-fisica.
Per esempio: la mattina quando ci svegliamo potremmo avere un livello di attivazione molto basso, quindi camminare, muoverci, parlare e pensare piuttosto pigramente. In poche parole, le nostre connessioni neuronali potrebbero essere molto lente, e di conseguenza avere un contatto emotivo ovattato sia con il nostro interno che con l’esterno. Il nostro livello di arousal (letteralmente: risveglio, eccitazione) sarebbe basso ma saremmo comunque all’interno dello spazio che Siegel chiama “zona di arousal ottimale”. Quando siamo in questa zona, possiamo riconoscere tutto ciò che vi troviamo all’interno, sappiamo come muoverci e possiamo modificare abbastanza facilmente il nostro stato.
Sempre continuando nel nostro esempio, potremmo per esempio prendere un caffè o fare una doccia per arrivare al nostro livello di arousal ottimale, quando il cuore accelera, la mente va più veloce, il contatto emotivo esterno e interno è buono e riusciamo a riflettere e a sentire più lucidamente.
Se mentre siamo nella zona di arousal ottimale dovesse arrivarci per esempio una brutta notizia, il livello di arousal si alzerebbe: il cuore batterebbe forte, la respirazione accelererebbe, avremmo i muscoli più tesi, la nostra testa andrebbe velocissima. Se dovessimo arrivare ai confini più alti della linea nera, saremmo al limite massimo della finestra di tolleranza. Potremmo ancora capire la situazione, pensarla e modificarla mettendo in atto qualche strategia. Ma se non facciamo nulla, sconfineremmo nella zona di attivazione eccessiva che Siegel chiama “zona di iper-arousal”, in cui tutte le attività evolute della nostra mente si spengono e torniamo a funzionare come un animale in stato di iper-attivazione di fronte a uno stimolo pericoloso, quindi avendo quasi esclusivamente la disponibilità di attaccare o fuggire (fight or flight). In questa zona non esiste pensiero, si può solo agire.
Il nostro livello di arousal potrebbe però abbassarsi invece che alzarsi, e la brutta notizia invece che attivarci potrebbe spegnerci: il cuore batterebbe lento, il nostro respiro si farebbe più pigro, il nostro corpo sarebbe non più teso ma con i muscoli rilassati. Se dovessimo arrivare al nostro limite più basso senza modificare la caduta, andremmo oltre la finestra di arousal ottimale verso il basso, in quello stato definito da Siegel “zona di ipo-arousal”, in cui la nostra attivazione sarebbe insufficiente: si spegnerebbero le aree evolute del cervello e potremmo fare solo due cose, come qualunque preda di fronte al predatore, bloccarci o addirittura simulare la morte (freeze).
Tutte queste funzioni hanno un carattere evolutivo, di conservazione della vita e della specie.
Dobbiamo considerare anche che la nostra finestra di tolleranza non è sempre uguale. Durante eventi stressanti o condizioni di stress continuativo il nostro spazio di tolleranza si riduce, e uno stimolo piccolo può originare risposte grandi (apparentemente sproporzionate) sia verso lo stato di iper-arousal che di ipo-arousal.
Conoscendo noi stessi, saremo in grado di capire cosa ci serve per modificare la salita o la discesa verso le zone che non rientrano in quella di attivazione ottimale.
Possiamo sempre immaginare, creare e costruire delle condizioni per modificare i nostri stati di iper-allerta e spegnimento e non rischiare di agire qualcosa in stati di iper o ipo attivazione.
La condizione attuale può produrre risposte molto energiche: potremmo darci da fare, rispondere molto attivamente alle situazione, e poi all’improvviso andare incontro a un calo, in cui sentiamo che il dispendio energetico è stato tropo alto, sperimentando una caduta violenta e improvvisa verso un funzionamento primitivo di ipo-attivazione, in cui ci troviamo quasi spenti, nella condizione di dovere resistere consumando meno energia possibile.
È fondamentale non cronicizzare questa risposta e non rimanere in questo stato per un periodo prolungato, perché poi sarebbe difficilissimo riattivare le parti più vitali di noi che abbiamo dovuto spegnere.
In questo periodo è come se si fosse rotto il patto innato che abbiamo con l’umanità perché tutto è potenzialmente pericoloso, e potremmo non riuscire più ad affidarci alle altre persone e alle situazioni.
È assolutamente vitale che si guardi se è ancora attivo dentro di noi il desiderio, il piacere.
C’è ancora qualcosa che desideriamo fare? Abbiamo ancora un’idea di bello? Quali sono le piccole cose che ci danno piacere, che danno benessere al nostro corpo, alla nostra mente e alle nostre emozioni?
Il rischio di spegnimento cronico è gravissimo: dobbiamo subito accendere almeno una scintilla e continuare ad alimentarla.
Abbiamo già parlato di come sia importante costruire una quotidianità nuova che sia prevedibile.
Dobbiamo dare un senso alle nostre giornate, anche con piccole cose.
Per modificare e allargare la nostra finestra di tolleranza e riattivare i circuiti più evoluti del nostro cervello, è importante fare cose belle, fare esperienze di piacere in cui ci sentiamo liberi, al sicuro e vivi.
Possiamo partire da due direzioni diverse: utilizzare qualcosa che parte dalla mente per poi scendere nel corpo e negli organi, o -ancora più efficace- partendo dal corpo per arrivare alla mente.
Il corpo è un elemento fondamentale. Non c’è nulla di così potente come l’attività fisica (anche passeggiare, camminare, giocare da soli con una pallina), perché il corpo mentre si muove è come se dicesse a tutti gli organi “siete liberi, siete al sicuro”.
È utilissimo anche creare momenti in cui insieme costruiamo delle cose, anche solo delle fantasie, ma che riattivano le aree del desiderio, del progettare, del futuro. Anche le fantasie, infatti, riattivano le sensazioni della bellezza e del piacere, accendendo nel corpo e nella mente le esperienze desiderate.
Continuiamo a fare progetti: anche se adesso non possiamo metterli in atto, lo faremo. Possiamo non avere una data oggi, ma possiamo pensare nuovamente in modo creativo e vitale.
Non facciamo tutto da soli, ma costruiamo relazioni in cui fare insieme; eventualmente cerchiamo una relazione di aiuto con una persona che ci aiuti a capire cosa capita dentro di noi e ce lo descriva in modo facile così che si possa riconoscere ciò che accade ed essere padroni di quello che ci succede dentro e fuori, con consapevolezza.
Costruiamo luoghi al sicuro, che siano interni o esterni, relazioni in cui possiamo vivere esperienza di bellezza.
Non esiste un tessuto che non sia riparabile.
“State bene, fate cose belle”.
Diego Manduri, psicologo psicoterapeuta, presidente dell’associazione Approdi, esperto in diagnosi e cura dei disturbi post traumatici e nell’uso di strumenti non verbali in terapia, studioso della pratica clinica interculturale.